Tranquillità, dove sei?
La nostra autrice aveva urgente bisogno di staccare la spina. Ma qual è il luogo migliore per rilassarsi: un convento, una fattoria o un hotel con medical spa?
CONVENTO
Giorno 1 - Speravo di trovarvi la tranquillità, ma sembrano loro le prime ad essere stressate. Dalle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli del convento di Zams, ho prenotato cinque giorni di vacanza. Tutto compreso, riposo in primis. Di solito è Suor Barbara, la madre superiora, che viene a prendere in macchina gli ospiti alla stazione dei treni. Oggi però non ce la fa, mi dicono al telefono, su al convento c’è il finimondo. Alla faccia della quiete delle sacre mura. Che sia un cattivo presagio? Ma no, smettila di essere così negativa, mi rimprovero. Nessun problema: prendo un taxi. Sono reduce da una vacanza con mia sorella, da cui sono tornata appena tre giorni fa. Sfinita e allo stremo delle forze. Nove giorni di cultura per endovena e inflessibili tabelle di marcia. Voglio bene a mia sorella. Ma russa. E mi domando: da quando le vacanze, invece di farmi riposare, si sono trasformate in una fonte di stress? Perché, al mio ritorno, non mi fanno più i complimenti per il mio bel colorito post-ferie, ma mi chiedono se sono ammalata? Il ritmo del mio lavoro è tutt’altro che salutare: me lo porto sempre dietro, anche dopo cena e nel fine settimana, e persino quando guardo il poliziesco della domenica sera sono così intenta a pensare a cosa mi aspetta il lunedì che spesso mi sfugge chi sia l’assassino. Insomma, ho disimparato a rilassarmi!
Maria Hilf
E allora prendo ripetizioni, come facevo a scuola per matematica. Il problema recita: “Se trascorri cinque giorni rispettivamente in un convento, in una fattoria e in un hotel wellness, qual è la percentuale di relax che ottieni dopo ogni soggiorno? Calcola il risultato migliore.”
A mai più rivederci, insonnia! Andate a quel paese, maledetti pensieri ossessivi! E tu, stress, molla la presa! Molla la presa, accidenti!
Il piccolo convento sorge a poco meno di mille metri di quota, su un’altura rocciosa. La premessa perfetta per giornate di tranquillità. Speriamo che non russi nessuno. Ad aprirmi la porta è Suor Irmgard. È minuta, mi arriva sì e no al petto, e da dietro gli occhiali mi guarda con uno sguardo raggiante. Non riesco proprio a immaginarmi che di notte possa emettere rumori molesti. La suora mi invita a cena e mi lascia scegliere la camera. Su una porta c’è scritto “Amicizia”. Su quella accanto “Tranquillità”. Opto per la tranquillità. La camera è semplice e rassicurante, nessuna traccia di crocefissi con Cristi in agonia. Il bagno ha le piastrelle bianche e c’è internet. Due minuti dopo sono online. “Devi staccare la spina”, ammonisce l’angioletto. “Quando sei stata l’ultima volta in chiesa?”, provoca il diavoletto.
Nel 1845 al santuario viene affiancato l’edificio che oggi ospita il convento delle Figlie della Carità.
Le sette suore sono già sedute a tavola. Ci sono Wurstsalat e succo di mela. La novizia Helen mangia cornflakes con il cacao. La superiora, Suor Barbara, fa la sua comparsa portando crocchette di pollo e torta, avanzi del matrimonio festeggiato nel ristorante annesso. Le Figlie della Carità portano avanti da sole l’intero complesso ai piedi del Kronburg dal 2005: santuario, convento e ristorante. C’è tanto da fare, a volte troppo, ecco perché oggi nessuno è potuto venire a prendermi in stazione, ma resta sempre tempo sufficiente per mangiare tutte insieme nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. “Al matrimonio si sono scolati litri di Captain Morgan, che roba”, racconta Suor Barbara. Poi le sorelle spettegolano un po’ del medico condotto, fumatore incallito, e fanno il pieno di torta alla ricotta. Io sto zitta e me la godo. A casa, in questo momento, me ne starei da sola davanti al computer a lavorare. È passato un sacco di tempo da quando mangiavo insieme ai miei fratelli i panini al salame che ci preparava la mamma. Mi mancano.
Giorno 2 – Fuori splende il sole. Dentro, scorro le notizie sullo smartphone. Nei sondaggi sbancano i partiti di estrema destra. Grande Fratello Vip. Su Facebook qualcuno ha condiviso con 685 amici una foto dei propri piedi. Per farmi questo devo avere una predisposizione genetica al masochismo. Non contenta, apro pure la mail del lavoro. Secondo la psicologa britannica Fiona Jones, al giorno d’oggi lo stress è quasi una questione di bon ton. “Chi è stressato, oggi, è moderno”. Lavoro e tempo libero sono un tutt’uno. Il 45 percento dei tedeschi lavora anche in vacanza. Io faccio parte di quel 12 percento che in ferie risponde alle e-mail. Sono alla moda. E una vittima della modernità.
Per il convento del Kronburg passa anche il Cammino di Santiago. Anche Pauline parte in pellegrinaggio – ma dopo appena mezz’ora è già di ritorno.
Giorno 3 – Non riesco a dormire. C’è un tale silenzio qui. Nessuno che sbraita, niente gatti in amore, niente stridore di pneumatici. Il nulla. E il nulla mi innervosisce. Al telefono, quando i due interlocutori stanno zitti per un istante, si sente spesso un brusio – un segnale rassicurante che l’altro non ha riattaccato. Lo chiamano “comfort noise”. Ecco, adesso avrei bisogno di un “comfort urlo”.
Giorno 4 – Le montagne fumano. Piove. A colazione, oltre a me, ci sono quattro ciclisti in tenuta da battaglia che discutono del meteo. Io sono certa che resterà orrendo. Loro dicono che migliorerà. Un ottimismo invidiabile. Al convento pernottano tanti ciclisti, escursionisti e pellegrini. Gli iperstressati come me possono partecipare alle preghiere, alle liturgie e alle serate di racconti. Oggi è prevista una preghiera di Taizé. Spengo la suoneria del cellulare e mi siedo con le suore, raccolte in cerchio attorno a un tappeto di candeline accese. Un’ora di silenzi, canti e vocalizzi che ci trasportano in un trance antistress. Nella stanza aleggiano melodie Disney e io mi sento stranamente euforica. Più tardi, sul ripido sentiero che sale alle rovine del Kronburg, mi sorprendo a canticchiare “Tu scendi dalle stelle”. Natale è ancora decisamente lontano, ma evidentemente l’atmosfera mistica ha i suoi effetti.
Giorno 5 – All’“ora” mi manca il “labora”. L’orto di due metri per tre lo cura Suor Hildegard, la Wurstsalat la prepara Suor Pia Anna, e la superiora Suor Barbara è un factotum. È il momento di ripartire. Il mio abbraccio quasi stritola Suor Barbara. Surplus di energia. “Deve tornare assolutamente a trovarci!”, mi dice. Suona come una sincera raccomandazione. Gesù vede tutto. Lui sa che non trovo pace. Sull’autobus il WIFI è protetto. Digito impaziente una serie di potenziali password. Finché mi rendo conto di quanto sia stupido. All’orizzonte troneggiano – in chiaro – le Alpi.
Online: 180 minuti al giorno
Sonno: 5 ore di notte, 2 ore di giorno
Canzoni: 4 religiose, 20 laiche al giorno
Fattore relax: 30 percento
FATTORIA
Giorno 6 – Sulla mia eterna lista dei desideri ci sono tre cose: accarezzare un elefante, rincorrere un maialino, mungere una mucca. Fattoria, sto arrivando! La fattoria Klampererhof a Virgen sembra la scenografia di un nostalgico film sulle Alpi “di una volta”: gerani rossi, rosa e bianchi sui davanzali e sui ballatoi di legno, prati verdissimi, cespugli e alberi in fiore a incorniciare casa, stalla e fienile. Il film s’interrompe di colpo quando la contadina apre la porta. Agnes Oppeneiger stona con ogni bucolico cliché: una rockettara con la frangetta e l’aria da ragazzina, maglietta di Ed Hardy e Crocs ai piedi. Lei e suo marito Alois gestiscono la fattoria da dieci anni, prendendosi cura di mucche da latte, conigli, porcellini d’India, galline e, da quando il prezzo del latte è crollato, anche di turisti. Sto per digitare la password di internet, quando è già l’ora di mettersi al lavoro. Seduti sulla panca di legno in cortile, passiamo le tre ore successive a sfogliare la menta per la tisana alle 19 erbe di Agnes. Davanti a noi Krümel, un meticcio di terrier, si diletta a dissotterrare gerani. Poi andiamo in cucina a fare il formaggio. Agnes mi fa vedere come si fa, io la imito: tagliamo con lo spino 16 litri di latte cagliato e pressiamo i fiocchi di cagliata nelle forme. Nella mia camera ci sono 68 mosche. Dormo come un sasso.
Giorno 7 – La sveglia suona alle sei meno un quarto. Aiuto Agnes a preparare la colazione per gli ospiti. È quasi tutto di produzione propria: creme spalmabili alla ricotta, uova, infusi, yogurt, marmellate, mozzarella con pomodori dell’orto, siero di latte alla frutta, pane e burro. Quello che Agnes ha prodotto ieri, oggi viene servito in tavola. Dopo la colazione mi manda nel pollaio a sottrarre le uova alle galline, dopodiché arriva il mio momento: posso mungere. Entro in stalla bardata di tutona e Crocs, la mia meta: i capezzoli. Li friziono finché il latte non comincia a uscire, attacco la mungitrice e massaggio le mammelle finché non sono completamente vuote. Anch’io mi sento svuotata. Stanca morta.
Pauline è stupita della pazienza con cui la mucca si sottopone al suo primo, maldestro tentativo di mungitura.
Giorno 8 – Dar da mangiare alle galline. Fatto. Raccogliere le uova. Fatto. Dar da mangiare ai conigli. Fatto. Mungere, fare il burro, sfogliare le viole del pensiero. Fatto. Districarsi tra sacchettini di cellophan, etichette, spago, talloncini di legno e calzascarpe per imbustare le tisane. Fatto, più o meno. Sto giusto per lamentarmi della bruttezza delle mie creazioni, quando Agnes mi rifila lo spino. Sembra impossibile, ma sono due giorni che non mi innervosisco. “Le contadine non hanno tempo per avere la luna storta”, commenta Agnes, poi si infila i guanti di gomma per cominciare a tirare la mozzarella. Ha ragione. Ci si può complicare la vita anche da soli. Una cosa in cui sono bravissima – specialmente nel tempo libero o al posto di dormire. Mentre le sue giornate da 18 ore Agnes le affronta cantando. Mi metto a canticchiare anch’io.
Giorno 9 – La mia classica giornata di lavoro? Sono così stanca che faccio fatica ad alzarmi dal letto e, anche dopo litri di caffè, alla scrivania mi cade la testa dal sonno. Alla fattoria invece non resta nemmeno il tempo per sedersi un attimo. Ma il lavoro non mi stanca, e il sonno mi rigenera.
Giorno 10 – Agnes mi racconta che tra un paio di mesi le arriveranno finalmente anche dei maiali: maialini che saltellano di qua e di là per i prati, il mio sogno! Peccato non potermi fermare così a lungo. Pronta per la partenza, stringo Agnes in un energico abbraccio. Soffocando un gemito, mi fa i complimenti: “Proprio come un contadino”.
Al momento di lasciare la fattoria, Pauline si ripromette di tornare a lavorare dalla contadina Agnes.
Online: 20 minuti al giorno
Sonno profondo: 7 ore per notte
Mucche munte: 10
Fattore relax: 85 percento
HOTEL CON MEDICAL SPA
Giorno 11 – In famiglia siamo quattro figli e sono capace di inghiottire la pastasciutta senza quasi masticarla. Adesso me ne sto qui, con una fame da lupi, davanti a una porzione di filetto di salmerino e conto 1, 2, 3, 4... 30 masticazioni per ogni boccone. Fa parte della “terapia rigenerante” del Lanserhof. La medical spa è il non plus ultra dei wellness hotel, la fusione di tutto quello che può rimettere in sesto la mente e il corpo: digiuno e depurazione secondo i metodi del guru dell’intestino sano F. X. Mayr, trattamenti energizzanti e detox, visite mediche, terapie motorie e consulenza psicologica. A essere precisi, però, non sono a Lans, ma a Kitzbühel. Al momento lo staff – insieme a sette tonnellate di inventario – è ospitato all’Hotel Schwarzer Adler, in attesa che vengano completati i lavori che trasformeranno il Lanserhof in un tempio del turismo healthy. Nella sala ristorante i tavoli sono decorati con rose rosa, i davanzali con orchidee bianche: l’ambiente profuma di gigli e infuso alle erbe. Le mie amiche si regalano spesso dei fine settimana di wellness, i colleghi dell’ufficio vanno regolarmente in sauna. La Germania, la Francia e l’Austria investono in pacchetti benessere quasi 60 miliardi di Euro ogni anno. La versione moderna dell’“hotel mamma” che pensa al posto nostro ed è custode di un sapere superiore: qui veniamo nutriti, coccolati, curati. Quando si tratta di alimentazione sana, i virtuosi sono pochi. Per questo molti ospiti frequentano regolarmente il Lanserhof, dove trovano professionisti pronti a riportarli sulla retta via. E io che proprio adesso volevo fare una piccola deviazione – niente da fare: il minibar in camera è vuoto.
Nell’area wellness del Lanserhof il relax di Pauline è solo illusorio. In realtà sta pensando disperatamente alla cioccolata.
Gionro 12 – Tre volte al giorno mi viene servito un pasto della “Energy Cuisine”. Molti ospiti hanno scelto un programma più duro: si fanno portare un infuso con una fetta d’arancia, ovvero zero unità masticatorie, oppure una patata condita con olio di lino e crescione, per la bellezza di 90 unità masticatorie. Per me c’è porridge d’avena con la frutta, insieme a cialde al farro con l’avocado. Saranno almeno 500 unità masticatorie. Mi si avvicina la “guest assistant” Magda: “Signora Krätzig, come va con la masticazione?”. A dir la verità: malissimo. Arrivo al massimo a dieci, dopodiché il boccone mi scivola irrimediabilmente nella gola. La sera, in camera, non riesco a pensare ad altro che alla cioccolata. Infilo gli occhiali da sole e di soppiatto esco dalla porta sul retro del seminterrato. Mentre cammino verso il supermercato più vicino, la mia testa mi bombarda: “Non farlo!”. Lo stomaco ribatte brontolando: “Fallo!”. Compro una tavoletta di cioccolato con le nocciole intere. L’involucro vuoto lo nascondo sul fondo della valigia.
Giorno 13 – “Risveglio attivo” alle sei e mezza. “Non è fantastico?”, dichiara l’istruttrice Stefanie con voce squillante. Osservare il sole che sorge sui tetti di Kitzbühel è effettivamente fantastico. Stefanie, un concentrato di ottimismo, sprizza energia da tutti i pori. Raccogliamo insieme mele dal cielo, facciamo qualche squat, ci stiracchiamo fino a svegliarci del tutto. Mi riprometto solennemente di ricominciare a fare un po’ yoga al mattino. Ingurgitare caffè istantaneo è ovviamente più veloce, ma l’effetto non è minimamente paragonabile. Sono curiosa di scoprire come sarà il mio massaggio. In molte culture ci si massaggia a vicenda da millenni, eppure io finora ho sempre beccato massaggiatori smidollati e senza grinta. La fisioterapista Sarah mi spalma con un unguento di betulla e ginepro, miele e olio d’oliva – più forte! Più forte! Poi mi avvolge negli asciugamani e, premendo un pulsante, mi fa scivolare su un letto ad acqua riscaldato. Come nell’utero materno. Mi sveglia il mio stesso russare.
Con il suo programma di salute e benessere olistico il Lanserhof di Lans, vicino a Innsbruck, è una destinazione amatissima da oltre trent’anni.
Giorno 14 – Non mi stupisce che gli hotel wellness siano così amati. Qui non devo fare nulla di quello che mi procura stress nella mia quotidianità: mi viene rifatto il letto tutti i giorni, gli asciugamani sostituiti, non devo cucinare e stare attenta a mangiare cibi più o meno sani. Anche il lavoro d’ufficio mi viene risparmiato, anzi, soavemente vietato. Non c’è di che. Oggi so già cosa faremo domani e cosa mangerò dopodomani. Non devo fare altro che esserci. “Il bisogno di rallentare sta crescendo”, dice il sociologo Hartmut Rosa, che nei suoi libri analizza con occhio critico lo stress della società moderna. Rivela che stanno diventano sempre più popolari le cosiddette “isole di decelerazione”, una categoria in cui rientrano anche gli hotel benessere. L’obiettivo, anziché eseguire un compito dopo l’altro, è quello di lasciar andare, di non controllare nulla. Semplicemente di non fare nulla.
Giorno 15 – Patricia Eller, medico generale al Lanserhof, mi spiega che il mio intestino crasso è gonfio e che il mio fegato scricchiola da far paura. Sento le guance avvampare. La cioccolata sta bussando alla porta della mia coscienza: “so cosa hai fatto la notte scorsa”. Ammutolita, annuisco di fronte alle mie disfunzioni. Una volta una mia amica ha digiunato per due settimane. I primi sei giorni ha sofferto come un cane. Poi è arrivata la svolta: pelle rosea, energia a mille, ottimo umore. Temo di non aver preso abbastanza sul serio la terapia. La dottoressa Eller mi prescrive due diverse capsule e un preparato in polvere. Le do la mano, dispiaciuta che non mi abbia prescritto anche un po’ più di disciplina.
Online: 240 minuti al giorno
Sonno: 9 ore per notte
Interruzione del digiuno: una volta al giorno
Fattore relax: 55 percento
La conclusione di Pauline dopo due settimane di esperimento: “Voglio rincorrere maialini!”
Giorno 29 – Da due settimane sono stata di nuova inghiottita dal viavai quotidiano. Il relax del viaggio ormai si è volatilizzato, ma c’è stato. Ognuna delle tre tappe mi ha aiutato a capire di cosa ho bisogno per staccare la spina e lasciarmi andare. Come le suore del convento voglio tornare a circondarmi di persone care. Affronto il mio lavoro con più positività, in fin dei conti lo amo, almeno tanto quanto la contadina Agnes ama il suo. E lei non lo subisce, anzi, la fa stare bene. Il non far niente in hotel è stata per me una novità assoluta. “Non faccio altro che oziare, e con grande entusiasmo”, ha detto una volta lo scrittore Gerhard Polt durante un’intervista. “Tartarugare”, l’ha chiamato. Non sarà poi così difficile farlo anche nella vita di tutti i giorni. Continuo a portarmi il lavoro sul divano e ad annegare nell’ansia da prestazione. Ma, in compenso, adesso sono tornate le sere in cui spettegolo con le mie amiche come se non ci fosse un domani, o divoro pane e salame insieme ai miei fratelli. In città non ci sono mucche da mungere, ma ho ricominciato ad andare a ballare e anche questo mi fa stancare e divertire così tanto che poi la notte non c’è russare che mi possa svegliare. E quando mangiamo spaghetti non sono più la prima a finire. Comunque sia, so dove mi porterà il mio prossimo viaggio rigenerante. Alcuni scommettono sull’efficacia di wellness e detox, altri cercano se stessi, la quiete e Dio tra le mura di un convento. Io voglio rincorrere maialini!