GuatzEssen: cavoli, rape e l’arte della tavola genuina
Tutte le immagini: Maria Kirchner Fotografie
Con cura, quasi con meticolosità, Peter Fankhauser compone su un piatto una natura morta di verdure, aromi e salsa. Questo è uno dei marchi distintivi dello chef 42enne: ogni piatto che porta in tavola è una piccola opera d’arte. Ma anche per il resto Fankhauser è un tipo inconfondibile. Figura scarna e muscolosa da ex-maratoneta, barba da hipster e pantaloni colorati abbinati a una casacca da cuoco in denim grigio. Il logo sul berretto da baseball rivela il nome del suo ristorante e la sua passione più grande: “GuatzEssen”, mangiar bene.
Come dev’essere un pasto per essere considerato buono da Peter Fankhauser? La sua risposta è chiara: “Deve essere genuino. E fresco. Questo vale tanto per la mia cucina puramente vegetariana quanto, per esempio, per la cucina casereccia tradizionale, che è anche qualcosa di fantastico. Capisci cosa intendo?” Capisci cosa intendo: Peter lo ripete spesso quando spiega concitato quello che fa e perché. La maggior parte di ciò che i suoi ospiti trovano sul piatto cresce proprio accanto al ristorante, nel suo orto coltivato secondo i principi della permacultura. Ciò che Peter non riesce a produrre autonomamente in Tirolo d’inverno se lo procura da “Aspinger Raritäten”, un noto maso di permacultura di Barbiano, nei pressi di Bolzano, in Alto Adige, regione dal clima più mite. Inoltre, sfrutta ovviamente varie tecniche di conservazione, come il mettere le verdure sott’olio o sott’aceto, la fermentazione o altri metodi.
Peter Fankhauser e il suo giardiniere Patrick Sendlazek coltivano più di 450 sementi diverse su una superficie di circa 800 metri quadrati. Dall’omonima associazione, che per alcuni anni ha prodotto verdure in permacultura per la vendita regionale, è nato nel 2018 il ristorante dove Fankhauser cucina tutto ciò che cresce nell’orto di casa.
Peter, nato nel 1978, è cresciuto nella Zillertal dove ha completato il suo apprendistato da cuoco presso un ristorante stellato. Nemmeno ventenne, ha iniziato a vagare, soffermandosi dapprima per diversi anni negli Stati Uniti, facendo poi tappa presso il cuoco stellato Martin Sieberer al Trofana Royal di Ischgl, e poi partendo alla volta di Vienna per ritornare, infine, da Sieberer a Ischgl: “Mi mancavano le montagne!” afferma Fankhauser. Da una precedente specializzazione in pasticceria è nato il libro di cucina a due mani “Von süßen Sinnen” (I dolci gusti). Oltre a questo, Fankhauser ha corso per anni maratone, per poi passare ad ultra-maratone e competizioni di trail di altissimo livello in Austria. Il suo miglior tempo personale di maratona, rispettabilissimo per un corridore amatoriale, è di 2:25 ore.
Come atleta agonistico e chef abituato a occuparsi di alimentazione e di cucina in generale, Peter ha iniziato ad un certo punto a domandarsi da dove provenisse ‘la roba’ che cuciniamo e mangiamo. In linea con il principio di integrità che lo contraddistingue, la scelta di “cucinare meramente vegetariano” è stata una logica conseguenza, “soprattutto considerato il fatto che io stesso ho i prodotti per farlo. Si tratta di un fattore esclusivo che mi caratterizza, oserei dire, unico in tutta l’Austria”. A cui si aggiungono, ovviamente, motivazioni etiche ed ecologiche. Il problema dei piatti di carne nei ristoranti, secondo l’esperienza di Fankhauser, è che “pensando a quanta – o quanta poca – carne locale abbiamo realmente a disposizione, non si può che giungere alla conclusione logica che non può bastare per come concepiamo noi il servizio di ristorazione. La gente deve cambiare il modo di pensare e iniziare a riflettere su cosa è veramente locale. Per quanto mi riguarda, mi faccio quasi dei rimorsi perché ho bisogno di verdure dall’Alto Adige in inverno, anche se si tratta davvero di distanze accettabili”.
Peter stesso mangia carne soltanto occasionalmente, il che lo rende quello che viene modernamente chiamato un flexitarian, un vegetariano flessibile, ed è pienamente in linea con le nuove tendenze. Da gestore di un ristorante, osserva che sono soprattutto i giovani che stanno diventando sempre più consapevoli della loro dieta, della provenienza e dei metodi di produzione del loro cibo, e di conseguenza mangiano meno carne rispetto alla generazione dei loro genitori. “Gli ospiti vengono nel mio ristorante anche quando si vogliono concedere qualcosa di speciale”, ma “non voglio considerarmi di tendenza. Le tendenze vanno e vengono. Quello che importa per me è il modo di concepire la vita. Capisci cosa intendo?“
La caratteristica più sorprendente del modo di concepire la vita che ha portato lo chef della Zillertal alla permacultura è la sostenibilità. “Permacultura significa lavorare in armonia con la natura e creare una simbiosi tra le piante. In altre parole: ci sono molte verdure che crescono bene insieme, sui nostri bancali coltiviamo molte varietà diverse insieme, in consociazione. Chi non se ne intende, si domanda cosa sia successo nell’orto! Ma da professionista, ti basta solo sapere dove trovare i vari ortaggi”.
Da un lato, i bancali aumentano la superficie coltivabile, dall’altro, questa struttura assicura che le piante si riforniscano da sole di sostanze nutrienti e acqua, così che non abbiano bisogno di essere innaffiate neanche nelle estati calde e secche. “Le piante registrano le condizioni esterne e si adattano rapidamente”, spiega Peter. “Ce ne accorgiamo sempre più, di anno in anno, è un ciclo”. Gli agricoltori biologici convenzionali, a differenza dei permacultori, ricorrono a monocolture o colture monovarietali e “utilizzano prodotti fitosanitari che per noi non rappresenterebbero mai e poi mai un’opzione ”. Ci sono svariate piante aromatiche e officinali che tengono lontana la maggior parte dei parassiti. Tuttavia, non esiste cura contro le arvicole. E il peggior nemico di qualsiasi giardiniere amatoriale, la limaccia, causa problemi anche nella gestione professionale di un orto sinergico: “Prendiamo in prestito le anatre corritrici del vicino, ma non appena finiscono di mangiare le limacce, iniziano, ovviamente, a sbaffarsi la verdura”.
Peter è nella sua cucina a vista 15, 16 ore al giorno dal martedì al sabato, con l’aiuto di una cameriera soltanto. “Ogni settimana mi sforzo di fare un menù nuovo. Cucinare per mesi e mesi le stesse cose mi dà sui nervi. Inoltre, voglio anche offrire varietà ai miei ospiti, l’80% dei quali è di provenienza locale e torna spesso a farci visita”. Uno sportivo agonistico, abituato a spingersi in continuazione oltre i propri limiti, difficilmente può avere un atteggiamento diverso in altri ambiti della propria vita.
Come riesce a cambiare settimanalmente il menù? Un rapido sorriso malizioso: “Gli ospiti mi fanno da cavia!”. Poi, aggiunge più serio: “Dopo 25 anni di esperienza professionale, di solito so subito cosa si abbina e quali ingredienti vanno d’accordo per realizzare quello che mi metto in mente. Poi, naturalmente, cucino il piatto la prima volta per me e: boom!”
Il concetto di work-life balance non rientra nella natura di Peter. “Per me, 15 ore di lavoro non sono una tortura, mi piace farlo, lo faccio per i miei ospiti e per me stesso. Il mattino, zappare nell’orto per un’ora, mi regala una sferzata di energia che dura per tutta la giornata e mi rende perfettamente felice. E se ogni tanto vado a correre per un’oretta, mi schiarisco la mente ancora di più”.
Tuttavia, osare aprire un ristorante vegetariano a Stumm nella Zillertal richiede la stessa forza di volontà che occorre per affrontare una maratona. Per dirla con le parole di Peter: “Sono stato in tutte le banche della Zillertal. E non sono poche. Soltanto due erano disposte a farmi credito. Tutti gli altri mi hanno risposto: ‘Sei fuori di testa!’”
Poi, con una nota di orgoglio nella voce, aggiunge: “Alcuni dei dirigenti delle banche che mi diedero del pazzo, sono stati miei ospiti nel frattempo e il locale era sempre pieno di gente”.
Durante la nostra conversazione, di tanto in tanto, Peter scompare nella sua dispensa per ripresentarsi poi con un assaggio o l’altro: minuscoli tuberi di cerfoglio, pane aromatizzato di lievito madre, un bicchiere di kombucha rosso fuoco con fragoline selvatiche… Poi gli balza qualcos’altro in mente: “Aspetta, ti faccio assaggiare dei funghi”, dice mettendo sul tavolo un vasetto di finferli fermentati sottaceto: “Attualmente li ho sul menù insieme a un risotto alla zucca in una tartelette di pasta sfoglia. Il tutto viene servito con un velo di polvere di porcini. E aggiungo anche una componente dolce: susine conservate in vino rosso e balsamico. Per me è importante che l’ospite che si accomoda al mio tavolo apprezzi quello che servo. Capisci cosa intendo?”